COMMERCIALISTI: FAMIGLIE ITALIANE PIÙ POVERE

COMMERCIALISTI: FAMIGLIE ITALIANE PIÙ POVERE

COMMERCIALISTI: FAMIGLIE ITALIANE PIÙ POVERE

L’anno scorso, mentre molte famiglie oltrepassavano la soglia di povertà non riuscendo a mantenere il livello dei consumi ritenuto essenziale dall’Istat, la pressione fiscale generale pari al 43,1%, è aumentata di 0,7 punti di Pil, mentre quella delle famiglie, pari al 18,9%, è cresciuta di 1 punto di Pil.

I dati emergono dall’Osservatorio del Consiglio e della Fondazione Nazionale dei Commercialisti sulle famiglie italiane che traccia un bilancio del primo anno di pandemia e di dieci anni di crisi. 

Secondo l’Ufficio studi della Cgia di Mestre, negli ultimi 12 mesi gli impieghi bancari alle imprese sono scesi di 6 miliardi di euro, mentre gli investimenti delle banche in titoli di Stato sono cresciuti di 14,7 miliardi di euro. La pandemia ha spinto 333 mila famiglie, il 20% in più rispetto al 2019, nell’area della povertà assoluta e non ha frenato la pressione fiscale che, anzi, è cresciuta ancora di più. 

L’anno scorso, mentre molte famiglie oltrepassavano la soglia di povertà non riuscendo a mantenere il livello dei consumi ritenuto essenziale dall’Istat, la pressione fiscale generale pari al 43,1%, è aumentata di 0,7 punti di Pil, mentre quella delle famiglie, pari al 18,9%, è cresciuta di 1 punto di Pil. L’incremento è avvenuto a causa della rigidità del gettito delle imposte dirette, in particolare dell’Irpef, e dell’Imu al calo del Pil.

L’Osservatorio evidenzia come nel 2020 sia Il Pil che il gettito fiscale si sono ridotti, ma in misura diversa. 
Nel dettaglio:

  • mentre il Pil è calato del 7,8%,
  • le entrate fiscali delle famiglie sono diminuite del 3,2%, 
  • mentre tutte le altre entrate fiscali si sono ridotte dell’8,7%. 

Di conseguenza, la pressione fiscale generale è salita, ma quella delle famiglie, costituita in massima parte dalle imposte dirette e dall’Imu, è aumentata in misura maggiore. Ad aver inciso in modo particolare su tale tendenza è stato il gettito erariale dell’Irpef che nel 2020 si è ridotto solo del 2,2%.

Il bilancio complessivo della pandemia, per il 2020, nonostante gli ingenti aiuti statali è negativo. In particolare, a fronte di un calo del Pil di 139,4 miliardi di euro (-7,8%) e di un incremento del deficit pubblico di 129 miliardi di euro, il reddito disponibile delle famiglie si è ridotto di 32 miliardi di euro (-2,8%), mentre l’effetto combinato degli aiuti pubblici e del crollo dei consumi, calati di 116 miliardi di euro (-10,9%), ha determinato un incremento del risparmio lordo delle famiglie di 83,4 miliardi di euro (+88,3%). 

L’analisi dell’Osservatorio fa emergere, dunque, un aumento della povertà e allo stesso tempo di un aumento del risparmio reso evidente anche dall’incremento dei depositi bancari delle famiglie unito ad un aumento della pressione fiscale.Su quest’ultimo fronte, inoltre, pesano i risultati già negativi del 2019.

Dal 2011 ad oggi, a fronte di un incremento del Pil di 2,8 miliardi (+0,2%), le entrate fiscali delle famiglie, che pesano per meno della metà sulla pressione fiscale generale, sono aumentate di 46 miliardi di euro (+17,3%), mentre le altre entrate fiscali sono diminuite di 15,7 miliardi di euro (-3,8%). In particolare, il gettito erariale dell’Irpef dal 2011 è cresciuto di 11,7 miliardi (+7,2%) e quello dell’Imu, confrontato con il gettito Ici, è aumentato di 11,1 miliardi di euro facendo registrare l’incremento più elevato in termini percentuali pari, addirittura, al 120%. Stessa dinamica, per le addizionali regionale e comunale che hanno contribuito ulteriormente con impatti diversificati e rispettivamente pari a +3,5 e +1,8 miliardi di euro. Le imposte sui redditi di capitale sono aumentate di 9,3 miliardi di euro (+92,8%) e i contributi sociali sono aumentati di 8,5 miliardi di euro (+12,6%).

I dati mostrano come la lunga crisi economica e finanziaria degli ultimi anni abbia depresso fortemente i redditi familiari: dal 2003 al 2018, il reddito medio in termini reali ha perso l’8,3% del suo valore. Nello stesso periodo, il divario Nord-Sud è aumentato (+1,6%) arrivando a raggiungere i -478 euro al mese. Nelle famiglie in cui prevale il reddito da lavoro autonomo la crisi ha colpito ancora più duramente: la perdita in termini reali è pari al 28,4%.

Il divario Nord-Sud è forte anche nella spesa media mensile dei consumi delle famiglie anche se, in questo caso, il Covid-19 ha giocato all’inverso, colpendo maggiormente il Nord e riducendo, anche se solo leggermente, il divario. Nel 2020, la spesa mensile media di una famiglia meridionale è pari al 75,2% rispetto ad una famiglia che vive al Nord: 1.898 contro 2.525 euro

L’Istat misura la soglia di povertà nei termini di un livello di consumi ritenuto essenziale per una famiglia in base alle sue caratteristiche, tra cui spicca anche la residenza. E dal momento che i consumi si sono ridotti molto di più al Nord che al Sud, la povertà è aumentata più al Nord che al Sud.

L’Irpef, la principale imposta italiana, includendo anche le addizionali locali, nel 2020 ha raggiunto il livello di 191 miliardi di euro, pari all’11,6% del Pil.